Green dot/Punto verde: cinema di animazione iraniano 1970/1979: un’introduzione

di Giulia Barini, Marcello Seregni, uscita > Cinergie n°3, marzo 2013.

Cinergie n. 3 marzo 2013

Green dot/Punto verde

Cinema di animazione iraniano 1970/1979[i]: Una introduzione

 

In a way, the history of Iranian cinema is the history of

cinematic exchange relations with the world.[ii]

 

 

In form and content Iranian films have tended to be conservative, but reading the lines we find a peculiar, sometimes contradictory, dynamic that provides the opportunity for examination of specific social and political problems.[iii]

Analizzare una parte della cinematografia iraniana, in questo caso quella che riguarda l’animazione durante il periodo 1970/1979, significa innanzitutto comprendere e seguire le vicende, sociali e politiche del Paese, che nel corso dei decenni sono avvenute nel territorio iraniano, trovandoci a dover leggere, appunto, le righe o (tra) le righe di continue contraddizioni.

Da Reza Shah a Mohammad Reza Shah: cambiamenti di prospettiva politica

 

On 25 August 1941 (3 Shahrivar 1320) at 8 p.m. the electricity in Tehran was cut, plunging the entire city, including the Shah’s palaces, into darkness and forcing panic- striken spectators to rush out of movie houses. They soon learned the reason for the electrical outage: Iran’s invasion of  by the Allied powers, despite Iran’s official neutrality in the Second World War. Within three weeks Reza Shah abdicated and left the country for a permanent exile, replaced by his son Mohammad Reza Shah.[iv]

Il cosiddetto primo periodo Pahlavi (1925-1941), finisce qualche settimana dopo l’invasione degli Alleati nel territorio iraniano. Reza Shah fu colui che, preso il potere nel 1925 destituendo la dinastia Qajar, avviò una riorganizzazione dello Stato, e impose la sua laicizzazione, uno dei suoi primi obiettivi e quello che lo avvicinò maggiormente alle potenze europee e a quella americana. I legami con il mondo occidentale, soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, crebbero in modo notevole: Reza Shah aveva tutto l’interesse alla modernizzazione della Persia (rinominata Iran dal 1935 sotto decisione dello stesso Reza Shah) e a mostrare al mondo le aperture e la disponibilità del suo Paese. In questo modo si assicurò investimenti ingenti nelle risorse energetiche che gli Stati occidentali sfruttavano (ne è un esempio la costituzione dell’Anglo-Persian Institute[v]). La modernizzazione però toccò velatamente lo sviluppo interno e l’economia generale.  Sotto le aperture all’occidente Reza Shah puntava a tenere e conservare per sé il potere, istituendo un controllo e indirizzando a suo piacimento molte attività dell’Iran. La cinematografia fino ad allora aveva vissuto uno sviluppo altalenante. Le prime immagini cinematografiche iraniane sono attribuite a Mirza-Ebrahim Khan Akkasbashi, figlio di un fotografo di corte ai tempi della dinastia Qajar. In un viaggio in Europa il vecchio monarca Mozzafar al-Din Shah, tanto appassionato di fotografia da far installare nel palazzo reale una camera oscura per lo sviluppo dei negativi, vide alcune macchine da ripresa. Le fece comprare e venne girato quello che è considerato il primo film iraniano, The travel of His Grace, Mozzafar al-Din Shah (1900). Lo stesso Mirza-Ebrahim Khan fu il primo ad aprire nel 1905, su permesso dello Shah, una sala cinematografica pubblica fino a quando “certain religiuos authorities denounced the venture a san fact of Satan, and the Shah was forse to close it.” [vi]. Tuttavia il cinema rimase un fatto puramente interno alla monarchia e alle gerarchie dello Stato e solo durante gli anni venti ci fu una più aperta diffusione delle sale cinematografiche. Inoltre solo nella metà degli anni venti le donne iniziarono ad essere ammesse agli spettacoli cinematografici in sale e orari prestabiliti. Quello che mancò fu un vero sviluppo dell’industria e del linguaggio cinematografico, si cercò infatti di unificare e occidentalizzare il mondo culturale, sia aprendo notevolmente il mercato alle produzioni estere (americane, inglesi e italiane in testa) che intervenendo sulla produzione interna incoraggiando documentari e film che rappresentassero la modernizzazione del paese, pur senza investire attivamente nell’industria cinematografica locale che rimase essenzialmente artigianale[vii]. Sul piano estetico ci si avvicinò molto ad un’occidentalizzazione del linguaggio, che venne utilizzato per presentare e rinforzare l’idea di una cinematografia nazionalistica basata sui pilastri della cultura persiana: un certo misticismo legato ad una visione filosofica dell’esistenza e delle sue ramificazioni.

Furono proprio la spinta ad occidente e i rapporti strettissimi con le forze europee e gli Stati Uniti a costare a Reza Shah il suo potere. Per la paura che le risorse petrolifere ed energetiche dell’Iran potessero essere avvicinate dalla Germania nazista, la Gran Bretagna e la Russia occuparono il paese e costrinsero Reza Shah alla deposizione e all’esilio, lasciando il posto al figlio Mohammad Reza Palhavi, di soli ventidue anni[viii]. Quest’ultimo continuò l’opera di occidentalizzazione del paese iniziata dal padre favorendo ancora di più l’entrata di paesi stranieri per la gestione e lo sfruttamento delle risorse che portarono ad un incremento di modernizzazione e infrastrutture, focalizzate però nelle uniche zone di interesse al commercio, lasciando così molte parti dell’Iran allo stato rurale. La presenza di militari influì sullo sviluppo cinematografico del Paese:

“crebbe negli anni Cinquanta in Iran la presenza di interessi stranieri; in primo luogo gli Stati Uniti si impegnarono in un vasto programma di investimenti anche nel settore cinematografico e nella nascente televisione, imponendovi rapidamente il proprio monopolio economico. Nel 1948 era divenuto operativo a Tehran lo United States Information and Educational Service (USIES, poi USIS).[ix]

Parallelamente alla crescente importanza degli investimenti stranieri e oltre alla sempre più ampia diffusione di documentari e giornali cinematografici che avevano l’obiettivo di presentare al meglio la persona dello Shah e gli apparati governativi[x], si iniziò a creare un mercato e una produzione interna di film commerciali e popolari che ebbero ampio seguito e diffusione all’interno dell’Iran. Si trattava di melodrammi che avevano da sfondo tensioni sociali che sfociavano in trame piene di violenza e fantasia.

the misery and the poverty of the masses were set aside in favour of portraying Iran’s dream life. This narrative approach was combined with action scenes and Persian dance sequences, usually in a café or bar, to increase the appeal. […] In this way filmfarsi satisfied the audience demand for escapist and light entertainment movies.[xi]

Queste produzioni, considerate come minori, hanno invece la qualità di rappresentare ed essere uno strumento utile per comprendere aspetti sociologici e politici tuttora non del tutto approfonditi.

Il cinema divenne fortemente influenzato dallo Stato, vennero istituiti enti, scuole e festival. Negli anni sessanta nacquero il Ministry of Culture and Art (MCA) e la National Iranian Radio and Television.

Ancora più netto fu l’allontanamento e l’opposizione che il nuovo Shah fece contro la religione. I gruppi sciiti furono messi a tacere e distanziati da qualsiasi attività politica o rilevante, molti mullah[xii] furono torturati e con la messa al bando delle opposizioni  i contrari alla monarchia (ormai dittatura) non videro altro spazio se non le moschee e i luoghi di culto per incontrarsi. Saranno proprio i gruppi religiosi a modificare culturalmente e politicamente lo stato delle cose in Iran. Con l’incrementarsi del potere monarchico dittatoriale da parte di Mohammad Reza Shah, le proteste e la scontentezza nel popolo si fecero sempre più vive. L’occidentalizzazione di parti del paese era vista come lo sfruttamento del territorio e la perdita di identità. Così, “prior to the revolution [nel 1979], many clerics considered film to be haram and going to the cinema, a sin. Cinema was associated with the Shah’s regime and film seen as an agent of western cultural imperialism”[xiii]. Le tensioni politiche caratterizzarono anche la durezza del sistema di censura[xiv]: il sesso, la religione, la povertà e tutto ciò che arrivava ad essere in contrasto con i gruppi religiosi, la famiglia dello Shah e qualsiasi rappresentazione negativa del Paese erano tutti vietati poiché le immagini dovevano rafffigurare la grande situazione economica e sociale in atto in Iran.

With the Shah of Iran trying to consolidate further his power an autocratic ruler, the political climate was turning increasingly repressive. Harsh measures were being taken to suppress the already government controlled media, and film – one of the few media in which private investment was allowed – was no exception. The film censors, while allowing large doses of sex and violence to an unprecedented extent (in an Islamic country, at least), adopted an uncompromising stand against films dealing with political subjects.[xv]

In mezzo a tutto questo fermento e queste lotte, ancora tra le righe di continue contraddizioni, si sviluppò una produzione differente, per tematiche e qualità, che venne definita come la nouvelle vague iraniana[xvi], nata verso la metà degli anni sessanta e proseguita per un decennio, che portò sullo schermo una riflessione critica sulla società iraniana attraverso l’utilizzo di un realismo e delle storie in cui si inserivano corruzione, povertà e lavoro. Pur tuttavia di qualità superiore al resto dei titoli iraniani dell’epoca, questa produzione trovò maggiore successo e attenzione all’estero (soprattutto nei Festival europei) che in patria.

Lo scontento, ed altre motivazioni politiche e sociali, produssero e accompagnarono attraverso una rivolta popolare l’Islamic Revolution nel 1978, quando l’Ayatollah Khomeini fece ritorno in Iran e prese il potere costringendo all’esilio Muhammad Reza Shah, istituendo nel Paese una dittatura religiosa che, tra le altre cose, distrusse circa 180 sale cinematografiche e ridusse notevolmente la produzione cinematografica nazionale[xvii].

Center for the Intellectual Development of Children and Young Adults (CIDCYA)

Di fondamentale importanza risulta essere, per la crescita e la diffusione del cinema iraniano, l’istituzione nel 1961 del Center for the Intellectual Development of Children and Young Adults (CIDCYA) o Kanun-i Parvarish-i Fikri-yi Kudakan va Nujavanan, conosciuto anche con il semplice Kanoon.

In Iran esiste un Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei giovani, che ha iniziato recentemente una produzione di film d’animazione, anch’essi un po’ rozzi e primitivi come quelli indiani, ma più originali nella forma e più legati alla cultura figurativa nazionale.

Più che opere didascaliche di Arapik Baghdasarian o le favole di Nosrattolah Karimi, i film del pittore Farshid Mesghali, noto illustratore di film per l’infanzia, hanno rivelato una genuina personalità d’artista, il quale ha saputo recuperare la tradizione pittorica iraniana in un contesto narrativo e figurativo di chiara ispirazione popolare e infantile. Si vedano il fantascientifico Agaye hayoola (Il signor mostro, 1970), in cui un mostro meccanico distrugge un’intera città ma è fermato da un bambino che, nella confusione, salva un fiore, simbolo della vita; e soprattutto Pasar va saz va parandeh (Il bambino, l’uccello e lo strumento musicale, 1971), una delicata e suggestiva favola pittorico-musicale, di vena al tempo stesso umoristica e malinconica.[xviii]

L’organizzazione intendeva favorire lo sviluppo culturale fra i bambini e i giovani attraverso l’attività artistica con incontri, workshop, biblioteche, film e giochi[xix]. Importantissime le produzioni di testi accompagnati da tavole illustrate di  grandi artisti iraniani, che si rifacevano e richiamavano le allegorie e i miti della storia persiana. In un paese “in cui le condizioni culturali e la censura non permettono piena libertà d’espressione i film per bambini forniscono validi espedienti per ovviare a tali vincoli e per “aprire una finestra” su realtà sociali che potrebbero essere più difficilmente trattate nei film per adulti”[xx]. Se prima molti dei testi di illustrazione e dei libri per bambini erano una trasposizione in Farsi delle classiche storie occidentali (Tin Tin, il Piccolo Principe e altri), attraverso l’Istituto alcuni artisti e scrittori si sono dedicati più attivamente alla produzione e alla narrazione di storie che riguardavano personaggi e storie epiche del mondo persiano. La quasi totalità dei registi e degli autori iraniani odierni, come Kiarostami e Naderi, hanno cominciato o sono passati attraverso quest’Istituto. Intorno al 1969 venne istituita all’interno dell’organizzazione una sezione cinematografica con il compito di produrre e diffondere documentari, film di animazioni, corti e film sperimentali. La grande quantità di soldi immessa in queste organizzazioni dallo Stato e dai paesi occidentali incoraggiavano la produzione e fecero si che Kanoon “which became a third force in the governement-driven effort to industrialize and modernize the film industry, promoting an alternative form of cinema[xxi]”. Se da una parte infatti i sistemi di censura e i controlli erano sempre attivi, dall’altra il fatto di essere all’interno di un sistema istituzionalizzato ed economicamente eccellente, lontano dal mercato, permise ad alcuni autori di agire liberamente proponendo filmati sperimentali e all’avanguardia, per offrire “their pedagogical lessons to their main subjetcs – children and young adult –  in the form of entertaining and imaginative tales. Howewer, even if they were not coded as political, the stories that encouraged independent thinking[xxii]”. Dal 1966 è attivo inoltre anche un Festival organizzato direttamente da Kanoon dedicato ai giovani e agli adolescenti divenuto un punto di riferimento del cinema educativo mondiale, l’International Children’s Film Festival. Nel 1969 la Kanoon aprì una banca cinematografica, all’interno della quale l’animazione ebbe un trattamento di riguardo.

Fu proprio grazie a questi fermenti culturali e all’interno di questa Istituzione, che si posero le basi per una seria produzione del cinema di animazione attraverso una politica che favorì inizialmente la creazione di corti cinematografici di animazione ad opera di giovani autori slegati dal contesto e dai canoni vigenti dell’allora cinema iraniano[xxiii].

Il cinema di animazione in Iran

In paesi le cui cinematografie sono poco note, esiste una produzione di film d’animazione che meriterebbe di essere conosciuta e approfondita. Questo è anche il caso dell’Iran, i cui film d’animazione, pur nei limiti di prodotti in buona parte artigianale, forniscono alcune informazioni sulla situazione cinematografica e sociale di quei paesi.

Fu molto dopo l’arrivo del cinema in Iran che si iniziò a diffondere anche una cultura del cinema animato. “Fu un colonnello d’aviazione, Jafar Tejaratchi, a sperimentare per primo in Iran le tecniche del cinema fotogramma-per fotogramma. I suoi brevi esercizi in bianco e nero risalgono al 1948”[xxiv]. L’ambiente politico e culturale che ha caratterizzato la Persia prima e l’Iran successivamente non ci ha permesso di conoscere altri possibili esperimenti o prove legate all’animazione cinematografica nel Paese. Le invasioni, le guerre e le distruzioni hanno fortemente compromesso la nascita e il mantenimento di archivi, cinematografici e non, che possano avvalorare o certificare esperienze di quel tipo[xxv]. Storicamente infatti la storia dell’animazione iraniana parte dalla fine degli anni cinquanta ed è suddivisa in tre periodi: nascita, da fine anni cinquanta a fine anni settanta, “winter sleep[xxvi]”, dagli anni ottanta ai novanta, e la rinascita, dagli anni novanta ad oggi (culminato con il successo di Persepolis di Marjane Satrapi del 2007).

Esfandiyâr Ahmadieh è considerato colui che diede origine a questa storia. Affascinato dalla visione del cinema animato di altri paesi, “he was so excited about his discovery that he decided to experience it himself.  Using a 16 mm Bolex camera, he succeeded in finding a way to animate his drawings[xxvii]”, producendo nel 1957 Mollâ Nasreddine. Nel 1965 Ahmadieh, Tajaratchi e Nosrat Karimi, l’altro padre del cinema di animazione iraniano, vengono ingaggiati dal Ministry of Art and Culture per organizzare corsi e gestire il primo studio di animazione in Iran. Dall’unione di questi tre uomini vennero prodotti i primi veri e propri film compiuti di animazione iraniana, ponendo le basi per la successiva attività della Kanun nel settore dell’animazione cinematografica. La vera scoperta dell’animazione da parte del pubblico e soprattutto da parte dei giovani in procinto di dedicarsi al cinema, ebbe luogo nel 1966, quando il primo Festival di Teheran presentò le più stimolanti proposte.

Fu questa l’occasione per il risorgere della seconda generazione di animatori iraniani, quella del “Rinascimento”.  […]  Della generazione del Rinascimento fecero parte sia autori che operano con continuità, sia autori che si dedicarono ad altre branche dopo una breve esperienza nell’animazione.[xxviii]

Il CYDCIA richiama giovani artisti e creativi, grafici ed educatori attratti dalle sperimentazioni che l’animazione poteva loro permettere. Negli anni settanta ci fu l’affermazione e la diffusione del cinema di animazione in Iran avvenuta soprattutto grazie ad alcuni fondamentali passaggi: “nel 1972 il Festival Cinematografico di Tehran dedicò una sezione all’animazione post-disneyana; nel 1974 fu inaugurato il Centro Iraniano per l’Animazione Sperimentale, cui fu posto a capo Nourredin Zarrinkelk, e nel 1977 l’Università Farabi istituì un corso post-laurea in materia”[xxix]. Si contano almeno trenta, tra corti e medio metraggi, di animazione prodotti dalla Kanoon fra il 1970 e il 1978[xxx]. La maggior parte di questi furono visti più all’estero che in Iran, vincendo in Festival e concorsi internazionali importanti premi. L’indipendenza e la facilità con cui si produssero questi film,

1970/1979 Gli autori

Tra le figure di maggior spicco nel panorama dell’animazione iraniana va citato Farshid Mesghali (Isfahan 1940)  illustratore, animatore e graphic designer. Egli fu studente presso l’Università di Teheran, già nel 1968 entra a far parte della Kanoon (Institute for the Intellectual Development of Children & Young Adults), dove, soprattutto, dal 1970 al 1978, produce molti dei suoi film d’animazione, oltre a illustrazioni di libri per bambini dello stesso istituto.

Nel 1970, infatti, esordì con Mister monster, un film di denuncia e protesta contro tutto ciò che rappresentava il potere della civiltà tecnologica, mentre risulta essere, concettualmente e stilisticamente, più “facile” il suo secondo film (sempre dello stesso anno), Malinteso. Fu con Il ragazzo, l’uccello e lo strumento musicale (1972) che Mesghali vinse uno dei suoi primi premi, al Festival di Venezia, rappresentando la storia di un ragazzo che si aggira per il mondo suonando uno strumento che svela e rivela i sogni e i pensieri delle persone che incrocia. Anche qui dunque una storia tendente alla magia, al fantastico, al simbolo.

Seguirono La città grigia (1972), Un verme molto molto buono (1973, su un verme che vorrebbe essere lodato da tutti, ma va incontro alla sventura), Guarda ancora (1974, ricerca di suggerimenti di forme in natura), Da differenti aspetti (1979), Come e perchè (1985), Una goccia di sangue una goccia d’olio (1986).[xxxi]

Mesghali più che della struttura drammaturgica si occupò dell’aspetto grafico dei suoi film, tant’è che la sua carriera continua a Los Angeles dove fonda il proprio studio di graphic designer, e partecipa a numerose mostre vincendo premi in tutto il mondo.

Stilisticamente simile a Mesghali, Ali Akbar Sadeghi (Teheran 1937) riconosciuto a livello mondiale come una figura di spicco della cinematografia d’animazione iraniana e grandissimo illustratore, fu autore di numerosi film d’animazione.

He began to teach painting in high school in the 1950s, before entering the university in 1958. His early works were with watercolor, but as of 1959, soon after entering college, he began oil painting and drawing. He initiated a special style in Persian painting, influenced by Coffee House painting, iconography, and traditional Iranian portrait painting, following the Qajar tradition – a mixture of a kind of surrealism, influenced by the art of stained glass. He did his early works in graphics and illustration. He is among the first individuals involved in the Center for the Intellectual Development of Children and the Youth, and was among the founders of the Film Animation department of this institute.

Aside from illustration, he has published a few books for the Center for the Development of Children and the Youth, and has made a few successful films by using his special style in painting.

Films produced by Sadeghi have won more than 15 awards at International Film Festivals. Also, for his book illustrations he has won four international awards[xxxii]

Il suo stile è un mash-up di tradizione iconografica iraniana ed un surrealismo decorativo unico, come si evince dai suoi lavori. Il suo primo film è del 1971 Sette città. Qui la particolare tendenza al surrealismo e agli scenari fortemente fantastici come le colline variamente colorate, le torri sparse a decine nel paesaggio, palazzi e scale alla Escher, vulcani che emettono lava che si alza in volo formando arabeschi, dinosauri che si aggirano nella storia, sono la base di una ricerca di linguaggio fortemente espressivo e ispirato ad una visione fantastica. Allo stesso tempo però il viaggio del guerriero intorno al mondo e alle “storie” del mondo, dall’antico al moderno tutte costellate di immagini di cuori, vogliono essere la speranza di un risveglio, di un cambiamento e di una salvezza. Successivamente arriva Tempesta floreale, ma sarà con Vantarsi del 1973, sulle dichiarazioni di guerriglieri di fazioni contrapposte, che arriva al successo. Seguono La torre del 1974, Malek Khorshid del ’75, su un principe che si innamora del ritratto di una fanciulla. In questo titolo si ritrovano le caratteristiche e le novità introdotte nell’arte animata da Sadeghi. Il segno grafico e la parola irrompono nelle immagini, l’uso di simbolismi richiama continuamente la forte identità persiana così come l’alto valore della morale (il Principe circondato di ricchezze e lusso è incantato di fronte alla bellezza della giovane Principessa). La lacrima del Principe che si trasforma in fiore non rimanda solo all’amore idealizzato ma anche ad un risveglio e alla ricerca di valori sicuramente più alti, evidenziati dal volo dell’uccello sul profilo della luna, nella scena successiva. Nel 1977 Sadeghi focalizza la sua esperienza di animatore sul progetto di un film di 25 minuti intitolato L’albino e la fenice (tratto dal Libro dei Re del poeta persiano Firdusi).

“Un’altra figura fondamentale nella scena iraniana fu Paviz Naderi, cineasta assai più rifinito, che mise in mostra un disegno curiosamente ameboide in film come Indipendenza (1973) o L’uomo e la nuvola (1975). Dopo un periodo di silenzio, diresse nel 1982 La mela.[1] Nel 1973 partecipò come attore nel film di Abbas Kiarostami Tadjrebeh.

Un altro personaggio di spicco fu Morteza Momayyez (Teheran 1936, Teheran 2005). Illustratore, pittore, insegnante e scrittore che ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del graphic design in Iran. Laureatosi nel 1965 presso la Facoltà di Belle Arti di Teheran, abbandona la sua terra per trasferirsi a Parigi dove continua la sua formazione nella progettazione di interni presso l’Ecole Supérieur des Arts Décoratifs. Ben presto, comunque, torna in Iran dove fonda il Dipartimento di Graphic Design presso la facoltà di Belle Arti dove aveva studiato.

He also cooperated as art director and graphic designer with many prestigious literary and artistic journals, including Farhang o zendegi (Culture and Life1969-1978), a periodical published in Tehran by the Secretariat of the High Council of Culture and Art. He made three short animation films, one of which, “Yek noqa-ye sabz” (A Green Point, 1972), won the honorary diploma of the Moscow film festival in 1973. He was the set and costume designer for several films and theater productions, including Still Nature, 1976, directed by Sohrāb Šahid-Hālet, and a few of plays, including Dikta va zāvia (Dictation and chapbook), which was staged by Dāvud Rašidi in 1969. He also worked as art director and designer for the Tehran Film Festival from 1973.[xxxiii]

Egli diresse nel 1971 Quello che fantasticava e quello che agiva, e due anni dopo L’uccello della rovina, apologo sul Male dal disegno incisivo. La fama di Momayyez viaggia fuori dai confini dell’Iran, le sue opere sono, infatti, pubblicate su riviste di graphic design di tutto il mondo.

Nonostante si possa credere il contrario, furono numerose anche le donne-regista nel panorama dell’animazione iraniana, una di esse, forse la prima, è Nafiseh Riahi. Studentessa di pittura, ceramica e scultura presso istituti inglesi, svizzeri e francesi, ben presto si fa conoscere e riconoscere nel  panorama culturale europeo e non, con svariate mostre (in Svizzera, Iran, Francia….). Dal 1966 comincia ad occuparsi di animazione producendo due corti animati per il Ministero delle Arti e della Cultura di Teheran, sei corti per la Kanoon, uno per il comune di Teheran, ed uno per l’Unesco nel 1995. Insegnante presso la Facoltà di arti drammatiche di Teheran prima, e docente di lingua francese poi, la sua fu anche una carriera ricca di premi (5 premi internazionali per i suoi film e le sue illustrazioni) e soprattutto di emancipazione femminile nella scena dell’animazione persiana.

La carriera filmica di Nafiseh Riahi comincia nel 1972 con Quanto so?, e continua l’anno successivo con Arcobaleno, un tentativo di “illuminare” la cupa e scura realtà quotidiana. Nel 1975 arriva La matita viola, dove un bambino vola con la mente nelle proprie fantasie. Qualche anno dopo, in colaborazione con un’altra donna-regista, Soudabeh Agah, dirige Da Teheran a Teheran.

Molti registi di animazione iraniani, nascono come illustratori o pittori, è questo il caso di Nooreddin Zarrinkelk. Nato a Mashhad nel 1937, cominciò la propria carriera come disegnatore e caricaturista per alcuni giornali locali. L’avvicinamento all’animazione arriva solo negli anni ’60, quando grazie alla Kanoon, vince una borsa di studio che gli permette di frequentare una prestigiosa scuola di animazione in Belgio, dove nel 1970 gira il suo primo film: Duty First. Qualche anno dopo, al ritorno in patria, si adopera affinchè il cinema di animazione venga maggiormente diffuso e conosciuto nel suo paese.

Nel 1973 girò Associazione d’idee; nel 1974 Atal Matal; nel 1975 quel Pazzo pazzo pazzo mondo che gli procurò numerosi premi internazionali e ne sancì la posizione di leader artistico tra i cineasti di animazione iraniani. Pazzo pazzo pazzo mondo era basato su un’idea divertente e fuori dal comune: la “personificazione” della carta geografica del mondo, sicchè la Scandinavia diviene un animaletto affamato che si mangia la Danimarca, il Borneo e la Nuova Guinea bisticciano per il possesso di Celebes, l’Alaska e la Siberia sono due polli in vena di beccarsi. L’allegoria della litigiosità planetaria non potrebbe essere più ironica.

Nel 1977 fu la volta di Amir Hamzeh, una favola, anch’essa raccontata con benevola ironia, a proposito di un cacciatore che libera una principessa trasformata in zebra da un demone. […]

Zarrinkelk confermava la sua dote migliore, la capacità di cogliere con secco umorismo l’essenziale di una situazione, per riproporlo agli spettatori in termini di giudizio morale.[xxxiv]

Conclusioni

Più sopra è già stato scritto come il cinema iraniano si sia evoluto nel decennio 70/79 anche partendo dal grande sorpasso che la produzione iraniana ha avuto sul cinema occidentale all’interno dell’Iran dal 1965 in poi. Questo continuo contrasto e questa continua competizione sono anche al centro del rapporto fra popolare e artistico, tecnologico e tradizione che nel cinema iraniano e nella produzione legata all’animazione hanno svolto quel compito di “miccia accesa”, garantendo un’evoluzione continua di qualità e ricerche stilistiche.

In un gioco continuo tra passato e futuro, tradizione e modernità, il cinema di animazione in Iran si situa come delle impronte “che ci precedono o ci inseguono ovunque. […] Altre sono scomparse da tanto tempo, ma qualcosa ci dice che esistono ancoram sepolte, rintracciabili attravers qualche diversione archeologica del desiderio o del metodo[xxxv]”.


[1]                Giannalberto Bendazzi, Cartoons il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia, 1988

 


[i]                 Il presente articolo vuole porsi come introduzione ad un tema ancora poco approfondito e certo non analizzabile in poche pagine, ed è stato realizzato congiuntamente dagli autori.. Gli autori ringraziano per le intuizioni e gli spunti la città di Bologna, André Habib, l’Associazione Culturale Cinematografica Hommelette.

[ii]          Hamid Naficy, A Social History of Iranian Cinema, vol.1. The Artisanal Era, 1897-1941, Duke University Press, Durham and London, 2011, p. 3.

[iii]          Hamid Reza Sadr, Iranian cinema a political history, I.B.Tauris, 1999, p. 1.

[iv]          Hamid Naficy, A Social History of Iranian Cinema, vol. 2. The Industrializing Years, 1941-1978, Duke University Press, Durham and London, 2011, p. 1.

[v]           L’Anglo-Persian Institute (API) era stato creato dal British Council, l’ente autonomo dell’Impero Britannico che aveva il compito di diffondere e  gestire le attività culturali ed educative inglesi nel Mondo. L’Api aveva diverse sedi in Persia e contribuì al diffondersi della cultura e della lingua inglese nel paese, attraverso i giornali, i libri e altre attività linguistiche, non ultima la visione di film in lingua inglese attraverso l’utilizzo di unità mobili.

[vi]          “When Akkasbashi shot the first Iranian moving image, then, the new lantern came to a very tradiotional in Iran. The first films were screened at the royal court in front of a gender-partitioned court audience. Like photography, the history of Iranian cinema began with an audience drawn esclusively from the court and the aristocracy.”, Hamid Reza Sadr, Iranian cinema: a political history, Tauris, London, 2006, p.9.

[vii]         “I problemi tecnici dominavano: mancava il personale qualificato, le necessarie attrezzature e persino la pellicola vergine, e a Tehran anche l’energia elettrica scarseggiava in quegli anni:”, AA.VV, L’Iran e i suoi schermi, Venezia, Marsilio, 1990, p. 46.

[viii]         Le vicende di questa parte di storia iraniana sono in verità ancora ambigue. Molti, più che di un aiuto anti tedesco della Gran Bretagna, sono convinti che le forze inglesi puntarono direttamente al controllo delle risorse dell’Iran anche per mantenere e consolidare l’Anglo-Iranian Oil Company (AIOC, fino al 1935 Anglo-Persian Oil Company, APOC), una delle prime e più grandi potenze petrolifere dell’epoca.

[ix]          AA.VV., L’Iran e i suoi schermi, Venezia, Marsilio, 1990,p. 50.

[x]           “The artisanal mode of documentary production and exhibition was gradually transformed into a largely statist, hybrid, semi-industrialized mode tank to the centralizing and modernizing reforms of the Pahlavi shahs, abetted by the Allied powers’ embassies and cultural attachés”, Hamid Naficy, A Social History of Iranian Cinema, vol. 2. The Industrializing Years, 1941-1978, Duke University Press, Durham and London, 2011, p.49. Sempre Naficy illustra dettagliatamente nello stesso volume, alle pagine 50 e 51, le Characteristics of the Official Documentary Cinema.

[xi]      Khatereh Sheibani, The Poetics of Iranian Cinema: Aesthetics, Modernity and Film After the Revolution, Tauris, London, 2011, p. 23.

[xii]         I Mullah sono personalità di sesso maschile che ricoprono ruoli di primo piano nella vita delle popolazioni islamiche per via della loro conoscenza teologica e di tutto ciò che concerne la vita e i comandamenti dei mussulmani.

[xiii]         Article 19, Unveiled: Art and Censorship in Iran, ARTICLE 19 MENA Programme, London, 2006, p. 20.

[xiv]                                                                                                    Si veda in proposito l’interessante l’elenco del codice di censura emanato dal Ministero dell’Interno iraniano negli anni cinquanta e pubblicato in Hamid Reza Sadr, Iranian Cinema: A Political History, Tauris, London, 2006, p. 66.

[xv]          Akrami, Jamsheed, “The Blighted Spring: Iranian Political Cinema in the 1970s,” in Downing, John D.H., ed., Film and Politics in the Third World (New York: Praeger Publishers, Inc., 1987), p. 132.

[xvi]         Principali autori del filone furono Parviz Kimiavi, Kamran Shirdel, Hazhir Darysh, Daryush Mehriju.

[xvii]        “The number of productions, which up steadily increased up to, for istance, 90 film in 1973, […] In 1978, the year of the Revolution, this fell to 18”, The Poetics of Iranian Cinema: Aesthetics, Modernity and Film After the Revolution, Tauris, London, 2011, p. 5.

[xviii]        Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Einaudi, Torino, 1974

[xix]         Come si può leggere nello statuto dell’organizzazione “Institute for the Intellectual Development of Children and Young Adults (IIDCYA) or as it better known “Kanoon” is a governmental institution with a wide range of cultural and artistic activities in the field of mental and cultural development of children and young adults among its tasks.”, da http://www.kanoonparvaresh.com/84/index.asp.

[xx]          Natalia L. Torsello, Il cinema persiano, Jouvence, p. 187.

[xxi]         Hamid Naficy, A Social History of Iranian Cinema, vol. 2. The Industrializing Years, 1941-1978, Duke University Press, Durham and London, 2011, p.70.

[xxii]        Hamid Naficy, A Social History of Iranian Cinema, vol. 2. The Industrializing Years, 1941-1978, Duke University Press, Durham and London, 2011, p.406.

[xxiii]        “Starting out as a producer of short films and animation, CIDCYA employed few directors and animators in the beginning but its early results were very different from the commercial films of the period”, Hamid Reza Sadr, Iranian Cinema: A Political History, Tauris, London, 2006, p. 226.

[xxiv]       Giannalberto Bendazzi, Cartoons : il cinema d’animazione : 1888-1988,  Marsilio, 1988, Venezia, p. 561. Altre fonti attestano i primi lavori di Tejaratchi agli inizi degli anni cinquanta, al suo ritorno da un periodo di studio all’estero. The “first generation” were the pioneers of native Iranian animation, like Nosratolah Karimi and airforce colonel Jafar Tejaratchi, who trained at the Prague studios of Kratky Film in the 1950s”, Jim Knox, http://sensesofcinema.com/2003/29/abbas-kiarostami/kiarostami_shorts/. Oppure “Jafar Teharatchi who was later joined by filmmakers Esphandiar Ahmadieh and Parviz Osanloo, made the first frame-by-frame, animated films in Iran in the late 1950s”, Jean Ann Wright, Animation Writing and Development: from Script Development to Pitch, Elsevier, 2005, p. 33.

[xxv]         La Persia rappresenta uno dei luoghi più fecondi per ritrovamenti preistorici e archeologici. Proprio in territorio persiano, precisamente a Shahr-i Sokhta, è stato rinvenuto quello che è conosciuto come uno dei primi esempi di animazione: una ciotola di terracotta riportava una serie di immagini di una capra, simili alla successione degli odierni fotogrammi. Il reperto è antico di circa 5000 anni. Un interessante studio sulle figurazioni della ciotola di Shahr-i Sokhta è il testo di Massimo Vidale e Andrea Pennici, Viaggio intorno alla mia ciotola: evoluzione tecnologica e comunicazione non verbale in una sequenza ceramica dell’età del Bronzo, Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1995.

[xxvi]        È stato Nourredin Zarrinkelk, considerato uno dei padri dell’animazione iraniana, a definire questo secondo periodo con questo termine.

[xxvii]       Nourredin Zarrinkelk, History of Iranian Animation, http://www.zarrinkelk.com/eng/animation.html.

[xxviii]       Giannalberto Bendazzi, Cartoons il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia, 1988

[xxix]        AA.VV., L’Iran e i suoi schermi, Venezia, Marsilio, 1990,p. 54.

[xxx]         Il dato è preso da “The Kanoon production”, una serie di quattro dvd realizzati dalla stessa Kanun, contenenti i trailers di tutti i films da loro prodotti, di animazione e non, dal 1970 al 1999.

[xxxi]        Giannalberto Bendazzi, Cartoons il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia, 1988

[xxxii]       Oldest Animation Discovered in Iran. Animation Magazine, 2008

[xxxiii]       Morteza Momayyez: Tasvir o tasavvor, Teheran, 1989

[xxxiv]       Giannalberto Bendazzi, Cartoons il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia, 1988

[xxxv]        Georges Didi-Hubermann, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta, Bollati Boringhieri, Torino, p. 9.